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Mese: Maggio 2025

Anche nel 2025 le principali banche e intermediari finanziari mostrano ancora criticità significative nella redazione e comunicazione dei rendiconti annuali dei costi e oneri legati ai servizi di investimento. Lo conferma l’analisi condotta da Plus24 del Sole 24 Ore su un campione di 22 operatori del settore, che evidenzia come — a distanza di sette anni dall’entrata in vigore della Mifid II — la trasparenza per i clienti finali rimanga un obiettivo ancora lontano.

Rendiconti bancari dei costi: ancora troppe opacità e poca trasparenza per i risparmiatori

Anche nel 2025 le principali banche e intermediari finanziari mostrano ancora criticità significative nella redazione e comunicazione dei rendiconti annuali dei costi e oneri legati ai servizi di investimento. Lo conferma l’analisi condotta da Plus24 del Sole 24 Ore su un campione di 22 operatori del settore, che evidenzia come — a distanza di sette anni dall’entrata in vigore della Mifid II — la trasparenza per i clienti finali rimanga un obiettivo ancora lontano.

Nomenclatura e formato: miglioramenti parziali

Solo il 77% degli intermediari inserisce nel titolo del documento la dicitura “costi e oneri”, come previsto dalle linee guida di Consob ed ESMA. Una percentuale in crescita rispetto al 64% del 2024, ma ancora insoddisfacente considerando l’importanza di una corretta identificazione del documento da parte del cliente.

Resta invece elevata la presenza di contenuti non pertinenti all’interno dei rendiconti: il 52% dei documenti analizzati presenta sezioni ridondanti o poco rilevanti, che rischiano di diluire le informazioni cruciali per l’investitore. La lunghezza media è di 8,6 pagine, con punte di 16-18 in alcuni casi, soprattutto quando il rendiconto viene accorpato ad altri documenti (es. rendiconti di gestione). Sebbene la Consob ammetta questa prassi, raccomanda di posizionare le informazioni sui costi nelle prime pagine e con adeguata evidenziazione grafica.

Comunicazione al cliente: un passaggio ancora critico

Uno degli aspetti più carenti riguarda la modalità di comunicazione del rendiconto. Solo nel 17,4% dei casi i clienti hanno ricevuto una notifica (via email, SMS o pop-up) dell’avvenuta pubblicazione del documento nell’area riservata dell’home banking. In molti altri casi, il documento viene caricato senza alcun avviso, rendendone difficile la reperibilità. Alcuni istituti dichiarano esplicitamente di non prevedere notifiche.

Questa prassi compromette l’efficacia dell’obbligo normativo e mina la consapevolezza finanziaria degli investitori. Una buona prassi — non ancora adottata — potrebbe essere la richiesta di una firma di presa visione, come già avviene per altri documenti contrattuali.

Le voci di costo: cosa analizzare con attenzione

Per assolvere alla funzione informativa prevista dalla normativa Mifid II, il rendiconto deve:

  • indicare tutti i costi sostenuti dal cliente (in valore assoluto e percentuale);
  • distinguere tra costi su servizi (es. consulenza), su strumenti (fondi, polizze, titoli) e pagamenti da terzi (commissioni di retrocessione);
  • includere l’impatto sui rendimenti (differenza tra rendimento lordo e netto del portafoglio);
  • riportare gli oneri fiscali, inclusi nel totale in 9 documenti su 10 ma non sempre evidenziati separatamente;
  • informare chiaramente il cliente della possibilità di richiedere un dettaglio analitico delle voci di spesa.
  • voci di spesa.

Sotto la lente anche le commissioni di retrocessione, ovvero gli incentivi pagati dalle società prodotto all’intermediario per la distribuzione dei propri strumenti finanziari. Si tratta di una voce significativa, che per i fondi comuni in Italia può rappresentare fino al 70% del costo complessivo. Una prassi legittima ma che va resa trasparente: nei servizi di consulenza “indipendente”, peraltro, tali retrocessioni non sono ammesse e il cliente paga direttamente il consulente.

Cosa può (e deve) fare il risparmiatore

I clienti, spesso inconsapevoli, possono e dovrebbero:

  • cercare attivamente il documento nell’area riservata online;
  • chiedere supporto al proprio consulente per interpretare correttamente i dati;
  • richiedere, quando non fornito, un dettaglio analitico dei costi sostenuti, inclusa la quota destinata ai singoli soggetti coinvolti (banca, casa prodotto, consulente).

L’obiettivo della normativa — aumentare trasparenza, fiducia e consapevolezza negli investimenti — resta ancora in parte disatteso. Gli intermediari hanno l’occasione di trasformare un obbligo in uno strumento di relazione e di valorizzazione del servizio offerto. La trasparenza sui costi non è un rischio da evitare, ma un elemento competitivo e un diritto del cliente.

Il debito pubblico statunitense ha raggiunto livelli storici senza precedenti, sia in termini assoluti che in rapporto al PIL. Con una dinamica di rifinanziamento sempre più onerosa, il recente downgrade del rating sovrano da parte di Moody’s il 16 maggio 2025 rappresenta un evento spartiacque. In un contesto globale sempre più sensibile al rischio, si rafforzano i timori su stabilità fiscale, credibilità politica e fiducia internazionale.

Debito pubblico USA: tra downgrade, rifinanziamento e sfiducia dei mercati

Il debito pubblico statunitense ha raggiunto livelli storici senza precedenti, sia in termini assoluti che in rapporto al PIL. Con una dinamica di rifinanziamento sempre più onerosa, il recente downgrade del rating sovrano da parte di Moody’s il 16 maggio 2025 rappresenta un evento spartiacque. In un contesto globale sempre più sensibile al rischio, si rafforzano i timori su stabilità fiscale, credibilità politica e fiducia internazionale.

Un debito fuori scala: 34.000 miliardi di dollari e oltre

Nel 2025 il debito federale degli Stati Uniti ha superato i 34.000 miliardi di dollari, portando il rapporto debito/PIL oltre il 120%. Le principali cause di questa crescita esponenziale sono:

  • politiche espansive pluridecennali,
  • riduzioni fiscali non compensate da tagli di spesa,
  • interventi straordinari durante crisi finanziarie e pandemiche,
  • l’inerzia strutturale dei programmi di welfare.

Questa massa debitoria richiede un costante rifinanziamento, con emissione continua di nuovi titoli del Tesoro, molti dei quali a breve o media scadenza. Il rialzo dei tassi d’interesse operato dalla Federal Reserve tra il 2022 e il 2024 ha reso questo rifinanziamento sempre più costoso.

Il downgrade di Moody’s: la caduta della tripla A

Il 16 maggio 2025, l’agenzia Moody’s ha declassato il rating del debito sovrano degli Stati Uniti da Aaa ad Aa1, con outlook negativo. Si tratta dell’ultimo anello di una catena iniziata nel 2011 con S&P e proseguita nel 2023 con Fitch. Ora anche l’ultima “tripla A” è caduta.

Tra le motivazioni indicate da Moody’s:

  • L’assenza di un piano credibile di contenimento del debito;
  • Il continuo ricorso al debito per finanziare la spesa corrente, in un contesto di rallentamento economico;
  • Le tensioni politiche ricorrenti legate al tetto del debito, che generano incertezza sui mercati;
  • L’aumento strutturale degli interessi passivi, che nel 2025 supereranno i 1.200 miliardi di dollari annui.

Il downgrade è un segnale forte: anche il debito americano può perdere lo status di investimento privo di rischio.

Tassi alti e rifinanziamento: un equilibrio sempre più precario

I titoli del Tesoro USA a 10 anni offrono oggi rendimenti tra 4,5% e 5%, ben superiori rispetto al decennio passato. Questa normalizzazione dei tassi, da un lato, riflette il ritorno a condizioni monetarie meno espansive, ma dall’altro mette sotto pressione il bilancio federale.

Le conseguenze principali sono:

  • Costo crescente del nuovo debito: ogni punto percentuale in più si traduce in decine di miliardi di interessi in più.
  • Rischio di spirale deficit-interessi: più spesa per interessi, meno margine per servizi pubblici e investimenti.
  • Maggiore vulnerabilità a shock esterni: geopolitici, finanziari o legati alla domanda di titoli.

Strategie possibili tra Tesoro e Federal Reserve

Di fronte a questa situazione, il governo e la Federal Reserve possono adottare alcune contromisure, seppur con margini sempre più stretti.

1. Allungamento delle scadenze

Il Tesoro può cercare di emissione titoli a lunga durata per bloccare i tassi odierni su orizzonti più estesi. Tuttavia, questo comporta costi immediati maggiori, poco appetibili in fase di alta spesa.

2. Consolidamento fiscale

La strategia strutturale prevederebbe:

  • revisione delle agevolazioni fiscali,
  • contenimento della spesa obbligatoria (Social Security, Medicare),
  • razionalizzazione della spesa militare e discrezionale.

Ma il blocco politico in Congresso rende improbabile una riforma di ampio respiro nel breve termine.

3. Politica monetaria più accomodante

La Federal Reserve potrebbe intervenire con:

  • un taglio dei tassi, se le condizioni macroeconomiche lo consentiranno;
  • un ritorno al quantitative easing, sostenendo direttamente il mercato dei Treasury.

Tuttavia, ciò comporterebbe il rischio di riaccendere l’inflazione e alimentare dubbi sulla neutralità della Fed.

Fiducia internazionale in calo

Un fattore cruciale è rappresentato dalla posizione degli investitori esteri, che detengono circa un terzo del debito federale. Paesi come Giappone, Cina, Regno Unito e Irlanda sono tra i principali creditori.

Negli ultimi anni, si osservano tendenze preoccupanti:

  • La Cina ha ridotto le proprie riserve in titoli USA, anche per motivi geopolitici;
  • Le banche centrali stanno diversificando le proprie riserve, puntando su oro, valute alternative e asset reali;
  • La percezione del dollaro come “bene rifugio” non è più assoluta.

Una contrazione strutturale della domanda estera di Treasury comporterebbe:

  • aumento della dipendenza dagli investitori domestici,
  • pressione sui rendimenti,
  • rischio di shock valutario sul dollaro.

Conclusioni: il credito illimitato non è più garantito

Per decenni, gli Stati Uniti hanno beneficiato di una fiducia globale illimitata, grazie alla loro stabilità politica, alla forza del dollaro e al peso dell’economia americana nel mondo. Il downgrade di Moody’s del 16 maggio 2025 rappresenta una svolta simbolica e sostanziale: il mercato inizia a considerare il debito USA come esposto a rischi concreti.


Senza una svolta nella gestione fiscale e nella coesione politica interna, gli Stati Uniti potrebbero avviarsi verso un’erosione progressiva del proprio primato finanziario globale. Il tempo per correggere la rotta non è ancora scaduto, ma lo spazio di manovra si restringe.

Quando Wall Street uscì nel dicembre del 1987, l’America era ancora scossa dal Black Monday: il 19 ottobre, il Dow Jones Industrial Average crollò di 508 punti in una sola seduta, segnando un -22,6% e registrando la peggior perdita giornaliera nella storia della Borsa USA. Il tempismo fu involontariamente perfetto: il film di Oliver Stone arrivò come una radiografia drammatica di un sistema finanziario ipertrofico, cresciuto all’ombra della deregolamentazione reaganiana, e capace di auto-alimentare bolle speculative scollegate dall’economia reale.

Wall Street (1987): Il cult di Oliver Stone che raccontò il cuore oscuro della finanza

Quando Wall Street uscì nel dicembre del 1987, l’America era ancora scossa dal Black Monday: il 19 ottobre, il Dow Jones Industrial Average crollò di 508 punti in una sola seduta, segnando un -22,6% e registrando la peggior perdita giornaliera nella storia della Borsa USA. Il tempismo fu involontariamente perfetto: il film di Oliver Stone arrivò come una radiografia drammatica di un sistema finanziario ipertrofico, cresciuto all’ombra della deregolamentazione reaganiana, e capace di auto-alimentare bolle speculative scollegate dall’economia reale.

Oliver Stone, la finanza come ferita personale

La genesi del film ha radici intime: Oliver Stone era figlio di Louis Stone, un vero stockbroker che lavorò per la Hayden Stone & Co. durante gli anni ’50 e ’60. Dopo aver vissuto sulla propria pelle l’implosione del sogno finanziario familiare, il regista cercò di raccontare quella “doppia economia” americana, dove la produzione industriale e i lavoratori (simbolizzati nel film da Carl Fox, sindacalista) vengono soppiantati dalla logica della finanziarizzazione dell’economia, dove il valore non si crea più producendo, ma speculando.

Gordon Gekko, tra insider trading e LBO

Il personaggio di Gordon Gekko è un concentrato dei predatori finanziari dell’epoca: Ivan Boesky, Carl Icahn, T. Boone Pickens, Michael Milken. La sua attività si fonda su operazioni di M&A ostili, con leva finanziaria elevata (leveraged buyouts) e uso sistematico di junk bonds (titoli ad alto rendimento e rischio emessi da aziende con basso merito creditizio).

Gekko compra società in difficoltà, le “smonta” vendendo gli asset a valore di mercato (realizzando così plusvalenze) e taglia la forza lavoro per incrementare l’EBITDA e giustificare valutazioni speculative. Questo approccio rappresenta una tipica strategia da asset stripping, favorita in quegli anni dalla scarsa tutela normativa per gli stakeholders diversi dagli azionisti.


Le informazioni privilegiate ottenute da Bud Fox (sulla compagnia aerea Bluestar) sono un caso da manuale di insider trading, vietato formalmente dal Securities Exchange Act del 1934, ma perseguito con maggiore incisività solo dopo lo scandalo Boesky (1986) e con la successiva intensificazione dell’attività della SEC sotto la guida di John Shad.

Un film tecnicamente accurato: gergo, dinamiche e strumenti

A differenza di molti film del settore, Wall Street fa largo uso di linguaggio tecnico autentico:

  • Arbitraggio: Gekko lo menziona nel contesto di fusioni.
  • Greenmail: pratica di acquisto ostile di azioni per costringere la società target a ricomprarle a prezzo maggiorato (una strategia che Gekko utilizza).
  • Flottante basso e alta volatilità: elementi cruciali per attacchi speculativi.
  • Call options e margin trading: strumenti derivati e leva che Bud Fox utilizza per operazioni rischiose.
  • Tassi d’interesse reali positivi: contestualizzati in un’epoca post-Volcker, con Fed Funds Rate a doppia cifra nella prima metà degli anni ’80, scesi poi gradualmente sotto Reagan.

La precisione nei riferimenti non è casuale: Oliver Stone si avvalse della consulenza di ex trader, hedge fund manager e operatori NYSE reali, tra cui Asher Edelman. Il risultato è un film che, pur con licenze drammatiche, fotografa con precisione chirurgica le pratiche speculative dell’epoca.

Contesto macro: Reaganomics, deregulation e crescita distorta

Gli anni ’80 furono segnati da una serie di riforme strutturali e provvedimenti deregolatori che cambiarono il volto della finanza americana:

  • Reaganomics: tagli fiscali massicci (soprattutto per i redditi alti), riduzione della spesa pubblica e deregolamentazione dell’industria finanziaria. Il top marginal tax rate passò dal 70% al 28% in meno di 10 anni.
  • Deregulation bancaria: dal Depository Institutions Deregulation and Monetary Control Act del 1980 al Garn-St Germain Act del 1982, le barriere tra banche commerciali e d’investimento iniziarono a sgretolarsi.
  • Crescita del debito privato: favorita da tassi reali in discesa e dalla liberalizzazione del credito, alimentò la crescita esponenziale dei corporate bonds e del mercato dei derivati OTC.
  • Indice P/E in crescita: lo S&P 500 passò da un P/E medio di 7-8 nel 1980 a oltre 17 nel 1987, segnale di una sovravalutazione alimentata da euforia e leva.

La crisi del Savings and Loan (iniziata proprio nel 1986-87) e l’impennata dei fallimenti aziendali legati a debiti junk resero quel mondo finanziario sempre più simile al casinò che Stone voleva denunciare.

Il paradosso dell’eroe negativo diventato mito

Oliver Stone voleva creare un film-denuncia, un monito sul pericolo di un sistema che premia il profitto sopra ogni etica. Ma Gordon Gekko divenne un’icona culturale. In una sorta di cortocircuito etico, studenti di finanza cominciarono a citare “Greed is good” come motto motivazionale, e non come critica.

In un’intervista del 2009, Stone dichiarò:

«Gekko era il cattivo. Invece lo hanno preso come mentore. Non avevo previsto quanto sarebbe diventato affascinante l’immoralità, se ben recitata.»
L’effetto è simile a quello di Il Padrino per la mafia: la fascinazione per il potere ha superato la condanna morale.

Conclusione: un film che parla anche al presente

Nell’epoca dei trader retail su Reddit, dei bitcoin, delle SPAC e degli ETF a leva, Wall Street resta un monito attualissimo. La tecnologia ha cambiato le forme, ma non le logiche: l’avidità è ancora lì, più sofisticata, più algoritmica, forse meno rumorosa, ma sempre “buona” agli occhi di chi ne trae profitto.


Gordon Gekko oggi sarebbe probabilmente a capo di un fondo quantistico con sede alle Bahamas, citato da Bloomberg e idolatrato su YouTube. Ma la sostanza non cambia: “l’informazione è la commodity più preziosa” — e Wall Street resta un’operazione chirurgica sul cuore del capitalismo contemporaneo.

Quando si parla di investimenti, la parola d’ordine è “diversificazione”. Ma non basta “mettere le uova in più panieri”: è fondamentale anche capire quando e dove spostarle, a seconda delle condizioni di mercato. Qui entra in gioco un concetto affascinante e molto usato dai professionisti: il portafoglio rotazionale.

Cosa sono i portafogli rotazionali? Una guida semplice per capire una strategia intelligente di investimento

Quando si parla di investimenti, la parola d’ordine è “diversificazione”. Ma non basta “mettere le uova in più panieri”: è fondamentale anche capire quando e dove spostarle, a seconda delle condizioni di mercato. Qui entra in gioco un concetto affascinante e molto usato dai professionisti: il portafoglio rotazionale.

Cos’è un portafoglio rotazionale?

In parole semplici, un portafoglio rotazionale è una strategia che cambia periodicamente la composizione degli investimenti, selezionando i settori, le asset class o i titoli che mostrano le migliori prospettive nel breve o medio periodo.

Immagina il tuo portafoglio come una squadra sportiva: non puoi far giocare sempre gli stessi giocatori, indipendentemente dalla partita o dalla loro forma fisica. I portafogli rotazionali funzionano proprio così: osservano le “prestazioni” recenti di vari strumenti finanziari e fanno “entrare in campo” quelli che stanno mostrando segnali di forza, mettendo in panchina (o vendendo) quelli più deboli.

Come funziona nella pratica?

La logica alla base è quella del momentum, ovvero il principio secondo cui un asset che ha performato bene di recente ha maggiori probabilità di continuare a farlo anche nel prossimo futuro. Ovviamente non si tratta di magia, ma di probabilità statistica.
Un gestore o un investitore che utilizza un portafoglio rotazionale, ogni mese o ogni trimestre, rivede la composizione del portafoglio sulla base di criteri oggettivi, ad esempio:

  • l’andamento recente degli ETF settoriali (tecnologia, energia, sanità…),
  • la performance relativa tra azioni e obbligazioni,
  • l’interesse verso determinati Paesi o aree geografiche.

In base a questi dati, ruota le posizioni: vende ciò che ha perso slancio e compra ciò che sembra in crescita.

Quali sono i vantaggi?

  • Adattabilità ai mercati: i portafogli rotazionali non restano fermi a subire i cicli economici, ma si adattano in modo dinamico.
  • Disciplina operativa: le scelte non sono lasciate all’istinto, ma seguono regole prestabilite.
  • Possibile riduzione del rischio: pur cercando rendimenti superiori, questa strategia può evitare di restare esposti troppo a lungo ad asset in calo.

E i rischi?

Come tutte le strategie attive, anche quella rotazionale non è infallibile. Ci sono fasi di mercato in cui i segnali sono meno chiari, oppure in cui le rotazioni avvengono troppo spesso, generando costi eccessivi o scelte inefficaci. Inoltre, richiede un minimo di esperienza o l’affidamento a strumenti automatici ben progettati, come certi fondi o robo-advisor.

A chi è adatta questa strategia?

Il portafoglio rotazionale non è solo per esperti. Esistono oggi soluzioni semplici che applicano questa logica anche per piccoli risparmiatori, con trasparenza e costi contenuti. Tuttavia, è importante comprenderne la natura: non è una strategia “buy and hold” (compra e tieni), ma una scelta attiva che richiede di accettare l’idea di “cambiare cavallo” con regolarità.

In conclusione

I portafogli rotazionali sono una risposta intelligente alla volatilità e all’imprevedibilità dei mercati. Dietro c’è logica, disciplina e conoscenza dei cicli finanziari. Per chi vuole fare un passo in più rispetto all’investimento passivo, con gli strumenti e le informazioni giuste, rappresentano una via potenzialmente efficace per far crescere il proprio capitale.

Cassazione civile, Sez. V – Sentenza n. 11786 del 5 maggio 2025 La Corte di Cassazione interviene nuovamente sul tema delle plusvalenze immobiliari, ribadendo un principio di particolare rilevanza per i contribuenti: la plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile acquistato da meno di cinque anni è soggetta a tassazione anche in assenza di un intento speculativo, se l’immobile non è stato adibito ad abitazione principale.

Plusvalenze immobiliari tassabili anche senza intento speculativo: la Cassazione chiarisce

Cassazione civile, Sez. V – Sentenza n. 11786 del 5 maggio 2025
La Corte di Cassazione interviene nuovamente sul tema delle plusvalenze immobiliari, ribadendo un principio di particolare rilevanza per i contribuenti: la plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile acquistato da meno di cinque anni è soggetta a tassazione anche in assenza di un intento speculativo, se l’immobile non è stato adibito ad abitazione principale.

Il caso concreto

Il contribuente aveva ceduto un immobile acquistato poco più di un anno prima, ottenendo una significativa plusvalenza. L’Agenzia delle Entrate ha emesso un avviso di accertamento per il recupero dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), sostenendo che:

  • l’immobile era stato acquistato da meno di cinque anni;
  • non risultava adibito ad abitazione principale;
  • non si rientrava nelle cause di esclusione previste dall’art. 67, comma 1, lett. b), del TUIR.

Il contribuente si era difeso affermando l’assenza di volontà speculativa e sottolineando che non si trattava di un’attività abituale né imprenditoriale.

Il quadro normativo: art. 67, comma 1, lett. b) TUIR

L’articolo 67, comma 1, lett. b), del Testo Unico delle Imposte sui Redditi stabilisce che costituiscono redditi diversi le plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, con alcune eccezioni:

  • se l’immobile è stato acquisito per successione ereditaria;
  • se, per la maggior parte del periodo intercorrente tra l’acquisto (o la costruzione) e la cessione, è stato adibito ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari.

Le ragioni della Cassazione

La Corte ha rigettato il ricorso del contribuente, ribadendo alcuni principi fondamentali:

Tassabilità automatica della plusvalenza

La norma fiscale prevede una tassazione automatica della plusvalenza, senza che sia necessario dimostrare l’intento speculativo. La ratio della norma è presuntiva: si ritiene che chi vende un immobile entro cinque anni abbia agito a fini speculativi, salvo prova contraria legata all’utilizzo dell’immobile come abitazione principale.

Nozione di abitazione principale: rileva la dimora effettiva, non la residenza anagrafica

L’agevolazione non si basa su dati formali come la residenza anagrafica, ma su dati fattuali: l’immobile deve essere stato concretamente abitato in modo stabile e continuativo. In caso contrario, viene meno l’esimente e la plusvalenza risulta tassabile.

Volontà speculativa irrilevante

Anche se il contribuente dimostra di non aver avuto alcuna intenzione di realizzare un guadagno, la tassazione è comunque dovuta. La presunzione di plusvalenza “speculativa” è iuris et de iure, ovvero non può essere superata con una prova contraria.

Aspetti pratici e consigli operativi

  • Attenzione alla tempistica: la cessione di un immobile entro 5 anni dall’acquisto o costruzione è sempre a rischio tassazione, a meno che l’immobile sia stato abitazione principale.
  • Prova dell’uso abitativo: è fondamentale poter dimostrare l’effettiva destinazione a dimora abituale (utenze, bollette, documentazione sanitaria, scolastica, ecc.). La semplice residenza anagrafica può non essere sufficiente.
  • Tassazione della plusvalenza: la plusvalenza (differenza tra prezzo di vendita e costo di acquisto, comprensivo di spese notarili, di intermediazione e ristrutturazione documentata) è tassata come reddito diverso in sede di dichiarazione dei redditi, oppure – se l’opzione è esercitata al momento del rogito – può essere tassata con imposta sostitutiva del 26%.

Conclusioni

La sentenza n. 11786/2025 rafforza un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato: l’intento del contribuente è irrilevante, ciò che conta è l’uso concreto dell’immobile. In un contesto in cui le operazioni immobiliari brevi sono sempre più frequenti, è essenziale che i contribuenti siano consapevoli delle implicazioni fiscali delle proprie scelte.

Riferimenti normativi

  • Art. 67, comma 1, lett. b), D.P.R. 917/1986 (TUIR)
  • Art. 68 TUIR – Determinazione della plusvalenza
  • Sentenza Cass. civ. V, n. 11786/2025
  • Circolari Agenzia Entrate n. 6/E/2006 e 2/E/2010

Mercato dell’arte: il governo spinge gli operatori all’estero

Il mercato dell’arte italiano sta affrontando una fase critica a causa di recenti decisioni legislative che rischiano di penalizzare ulteriormente gli operatori del settore. Questo articolo, originariamente pubblicato da Massimiliano Silla, consulente finanziario indipendente, analizza le implicazioni del D.lgs. 201/2024 e le sue mancate riforme fiscali e normative.

Perché gli operatori del mercato dell’arte italiani si stanno spostando all’estero?

Il decreto legislativo D.lgs. 201/2024, che avrebbe dovuto introdurre agevolazioni per il settore culturale, non ha ridotto l’Iva sulle opere d’arte, mantenendola al 22%. Questo rende l’Italia meno competitiva rispetto a paesi come Germania (7%) e Francia (5,5%), spingendo galleristi, artisti e altri professionisti a trasferire attività all’estero per operare con aliquote più vantaggiose.

Quali sono le aliquote IVA sull’arte in Italia rispetto agli altri paesi europei?

In Italia l’Iva sulle opere d’arte è fissata al 22%, una delle più alte in Europa. Germania e Francia applicano invece aliquote agevolate: rispettivamente il 7% e il 5,5%. Questo squilibrio fiscale penalizza il mercato italiano, incentivando gli operatori a vendere e acquistare beni artistici in paesi con fiscalità più favorevole.

Come influisce il D.lgs. 201/2024 sulla circolazione delle opere d’arte?

Il decreto non ha modificato la soglia di valore per la libera circolazione delle opere d’arte, mantenendola a 13.500 euro. In altri paesi europei, come Francia e Regno Unito, questa soglia è significativamente più alta, semplificando il commercio internazionale. La rigidità della normativa italiana rende più complesse le transazioni, danneggiando la competitività del mercato domestico.

Quali categorie professionali sono colpite da queste scelte legislative?

Le decisioni del governo impattano l’intera filiera artistica: artisti (che faticano a vendere a prezzi competitivi), galleristi (costretti a operare all’estero), restauratori (con meno commissioni legate al mercato interno) e fiere d’arte (che perdono appeal internazionale a causa degli ostacoli normativi).

Perché la soglia dei 13.500 euro è problematica per il mercato dell’arte?

Una soglia così bassa obbliga gli operatori a seguire procedure burocratiche complesse per opere di valore superiore, come certificazioni e autorizzazioni. In paesi come la Francia, soglie più elevate (oltre i 50.000 euro) facilitano il commercio, attirando investitori e collezionisti stranieri a discapito dell’Italia.

Quali sono le conseguenze a lungo termine per il sistema dell’arte italiano?

La combinazione di Iva elevata e regole restrittive sulla circolazione rischia di:

  • Ridurre il volume d’affari nel mercato interno;
  • Spostare il baricentro degli investimenti verso l’estero;
  • Indebolire la presenza italiana in fiere e eventi internazionali;
  • Danneggiare la tutela del patrimonio artistico, con meno risorse per la conservazione.

Esistono proposte per correggere queste criticità?

Gli esperti del settore chiedono da tempo un allineamento alle normative europee, con una riduzione dell’Iva almeno al 10% e un innalzamento della soglia di circolazione delle opere a 50.000 euro. Tuttavia, il D.lgs. 201/2024 ha ignorato queste richieste, lasciando il sistema dell’arte italiano in una posizione di svantaggio.

Conclusione

Le scelte del governo delineate nel D.lgs. 201/2024 rischiano di accelerare la fuga all’estero di professionisti e capitali nel mercato dell’arte.

Quadro RW 2025: monitoraggio fiscale, IVIE, IVAFE e cripto-attività

Il Quadro RW è lo strumento attraverso cui i contribuenti residenti in Italia devono comunicare gli investimenti e le attività finanziarie detenuti all’estero, anche indirettamente, e calcolare le imposte patrimoniali IVIE, IVAFE e, dal 2024, l’imposta sul valore delle cripto-attività.

L’adempimento interessa non solo contribuenti privati, ma anche enti non commerciali, società semplici e soggetti considerati “titolari effettivi” di beni detenuti all’estero. L’obiettivo è garantire la trasparenza e la tracciabilità dei patrimoni esteri, per prevenire l’evasione fiscale e assicurare l’equità del sistema tributario.

1. Soggetti obbligati

Sono tenuti alla compilazione del Quadro RW:

  • le persone fisiche fiscalmente residenti in Italia;
  • gli enti non commerciali e le società semplici residenti;
  • i titolari effettivi ai sensi della normativa antiriciclaggio.

L’obbligo riguarda:

  • investimenti patrimoniali all’estero (immobili, beni mobili registrati, oggetti d’arte, ecc.);
  • attività finanziarie estere (partecipazioni, conti correnti, titoli, assicurazioni estere, stock option, ecc.);
  • cripto-attività, anche se detenute tramite wallet digitali non associati a soggetti terzi.

L’obbligo sussiste anche in caso di detenzione indiretta tramite fiduciaria estera, trust, fondazioni o soggetti interposti, nonché in presenza di deleghe operative su conti esteri (salvo meri poteri rappresentativi, ad esempio per amministratori di società).

2. Esclusioni dal monitoraggio

Non sussiste obbligo di monitoraggio:

  • per conti correnti esteri con valore massimo complessivo inferiore a 15.000 euro nel corso dell’anno (salvo IVAFE);
  • per attività finanziarie estere affidate in gestione a intermediari residenti italiani che applicano ritenute o imposte sostitutive;
  • per alcune categorie di lavoratori all’estero, tra cui:
  1. dipendenti pubblici e internazionali con residenza ex lege;
  2. lavoratori frontalieri, a condizione che dismettano le attività estere entro sei mesi dall’interruzione del lavoro all’estero.

Attenzione: anche in caso di esonero dal monitoraggio, resta l’obbligo di dichiarare i redditi esteri percepiti.

3. Cripto-attività: imposta patrimoniale e obblighi dichiarativi

Dal 1° gennaio 2024, le cripto-attività sono soggette a:

  • obbligo di monitoraggio RW, se detenute al di fuori del circuito degli intermediari residenti;
  • imposta patrimoniale del 2 per mille, da versare secondo le modalità delle imposte sui redditi.

La base imponibile è data:

  • dal valore al 31 dicembre rilevato sull’exchange;
  • in mancanza, da dati di mercato disponibili o, in ultima istanza, dal costo di acquisto.

In caso di dismissione entro l’anno, si considera il valore alla data di uscita. In presenza di cointestazioni, l’imposta si calcola in base alla quota e ai giorni di detenzione.

È riconosciuto un credito d’imposta per patrimoniali versate all’estero su analoghe cripto-attività.

4. Determinazione del valore delle attività

Per la valorizzazione degli investimenti e delle attività finanziarie si applicano criteri distinti:

a) Immobili

  • UE/SEE: valore catastale, in mancanza costo d’acquisto, altrimenti valore di mercato;
  • extra UE: costo risultante da atti o, in mancanza, valore di mercato al 31 dicembre o fine periodo di detenzione;
  • successione/donazione: valore dichiarato o, in mancanza, costo del de cuius/donante.

b) Attività patrimoniali non immobiliari

  • Costo di acquisto o valore di mercato a inizio e fine del periodo.

c) Attività finanziarie

  • Valore di mercato al 31 dicembre (o al termine della detenzione);
  • In mancanza: valore nominale o di rimborso;
  • Per strumenti non quotati: rendicontazione dell’intermediario estero o documentazione idonea.

In caso di più strumenti della stessa categoria, si applica il metodo LIFO (Last In, First Out).

5. Modalità dichiarative

Il Quadro RW va compilato anche:

  • se le attività sono state dismesse nel corso dell’anno;
  • in caso di variazioni intervenute su almeno un immobile estero, indicando tutti gli immobili detenuti.

Se il contribuente è soggetto solo al monitoraggio e non alle imposte patrimoniali, non dovrà compilare le colonne relative a IVIE/IVAFE.

In presenza di cointestazioni o comunioni, ciascun titolare deve compilare un proprio rigo RW, indicando il valore intero dell’attività e la propria quota di possesso.

Conclusione

Il Quadro RW rappresenta uno degli adempimenti più articolati della dichiarazione dei redditi. L’estensione degli obblighi dichiarativi anche alle cripto-attività e ai titolari effettivi rafforza la trasparenza fiscale internazionale, ma impone al contribuente una puntuale ricognizione patrimoniale. La corretta valorizzazione e la distinzione tra obbligo di monitoraggio e obbligo impositivo sono fondamentali per evitare errori e sanzioni.

Tabella pratica – Quadro RW: chi deve compilare e quando

Tipologia di bene o attivitàEsempioObbligo RWImposta dovuta (IVIE / IVAFE / cripto)Note
Conto corrente estero con saldo medio annuo di €12.000Conto in Germania per risparmi personaliNONOEscluso se sotto soglia, salvo IVAFE
Conto corrente estero con saldo medio annuo di €18.000Conto deposito in SvizzeraIVAFE (2‰)Obbligo monitoraggio e imposta
Immobile in Spagna a uso vacanzaAppartamento a BarcellonaIVIE (0,76‰)Obbligo anche senza redditi prodotti
Partecipazione in società esteraQuota 20% in Ltd ingleseNOAnche se non distribuisce utili
Polizza vita estera non gestita da intermediario italianoContratto con compagnia lussemburgheseIVAFE (2‰)Solo se non applicata imposta sostitutiva
Criptovalute su wallet privatoBTC su LedgerImposta cripto (2‰)Valore al 31/12 o al termine detenzione
Criptovalute su exchange estero senza intermediario residenteETH su BinanceImposta cripto (2‰)Anche se sotto i 15.000 euro
Attività estera tramite fiduciaria svizzeraPartecipazione fiduciata in società lussemburgheseDipende dal tipo di beneTitolare effettivo rileva
Cointestazione conto esteroDue fratelli, saldo €20.000SÌ (entrambi)IVAFE ciascuno pro-quotaCiascuno dichiara valore intero con % quota
Beni esteri in trustImmobili o attività in trust USAIVIE/IVAFE se applicabiliSe si è titolare effettivo