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Tag: Arte

La nuova IVA al 5% sull’arte: profili normativi e implicazioni operative

La nuova IVA al 5% sull’arte: profili normativi e implicazioni operative

Con il decreto-legge 20 giugno 2025, n. 132 (cd. “Omnibus”), il legislatore ha introdotto una significativa modifica al trattamento IVA delle opere d’arte, antiquariato e oggetti da collezione, prevedendo l’applicazione dell’aliquota agevolata del 5% a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (21 giugno 2025). La misura si inserisce nel quadro del recepimento della Direttiva UE 2022/542, che consente agli Stati membri l’applicazione di aliquote ridotte per beni e servizi culturali, promuovendo l’armonizzazione fiscale del comparto a livello europeo.

Inquadramento normativo: dal regime differenziato al 5% uniforme

Normativa previgente

Fino al 20 giugno 2025, l’imposizione IVA nel settore artistico-culturale seguiva un criterio soggettivo, distinguendo:

  • Aliquota del 10%: per cessioni effettuate da autori, eredi o legatari, nonché per alcune importazioni, ai sensi del n. 127-septiesdecies della Tabella A, Parte III, allegata al DPR 633/1972 e dell’art. 39 del DL 41/1995;
  • Aliquota ordinaria del 22%: per cessioni effettuate da gallerie, mercanti d’arte e case d’asta, salvo applicazione del regime del margine.

Questo approccio disincentivava le transazioni attraverso canali professionali e spingeva parte del mercato verso l’estero o in ambiti fiscalmente meno trasparenti.

Novità introdotte dal DL 132/2025
L’articolo 8 del DL “Omnibus” prevede:

  • L’estensione dell’aliquota unica al 5% a tutte le cessioni e importazioni di opere d’arte, antiquariato e oggetti da collezione;
  • L’abolizione del criterio soggettivo: non rileva più chi sia il cedente (artista, galleria, casa d’asta, collezionista);
  • La non cumulabilità con il regime del margine: chi applica quest’ultimo continua a versare l’IVA calcolata sulla differenza tra prezzo di vendita e acquisto, ma non può beneficiare dell’aliquota ridotta.

Effetti sistemici e ratio economico-fiscale

L’aliquota del 5% rappresenta un allineamento virtuoso con le scelte di altri Paesi UE (Francia al 5,5%, Germania al 7%) e risponde a tre obiettivi:

  • Semplificazione normativa: superamento di un sistema stratificato e frammentato;
  • Competitività internazionale: l’Italia diventa tra le giurisdizioni più favorevoli all’acquisto di opere d’arte, stimolando gli investimenti esteri;
  • Emersione e formalizzazione: incentivare la tracciabilità delle operazioni artistiche riducendo il ricorso a canali paralleli.

Secondo stime Nomisma, la misura potrebbe generare un incremento del fatturato di settore fino al 28%, con picchi oltre il 50% per gallerie di piccole dimensioni, e un impatto economico complessivo nell’ordine dei 4 miliardi di euro.

Regime del margine: continuità con limitazioni

Il regime del margine (artt. 36-40 DL 41/1995) resta applicabile ma incompatibile con l’aliquota al 5%. Ne consegue che:

  • Gli operatori che continuano a operare in regime del margine (es. gallerie che rivendono opere usate o provenienti da privati) non possono applicare l’IVA ridotta;
  • Per accedere al nuovo 5%, è necessaria l’uscita dal regime del margine, con conseguente assoggettamento dell’intero valore al tributo (seppure in misura ridotta).

Il trade-off tra base imponibile piena con IVA ridotta e base ridotta con IVA ordinaria va valutato caso per caso, tenendo conto di margini, struttura dei costi e pricing strategico.

Impatti per i professionisti fiscali: aree di intervento

Decorrenza ed efficacia
La norma è operativa dal 21 giugno 2025. Le operazioni concluse da tale data devono essere documentate con l’aliquota corretta. Le fatture emesse a fronte di contratti precedenti, ma con consegna successiva, devono tener conto della data di effettuazione dell’operazione.


Adeguamento software e procedure
I soggetti passivi devono:

  • aggiornare i codici IVA nei gestionali e nei sistemi di fatturazione elettronica;
  • rivedere listini e condizioni contrattuali, in particolare per vendite già pianificate;
  • formare il personale su novità normative e modalità di emissione delle fatture.

Importazioni e compliance doganale
L’aliquota ridotta deve essere applicata anche in dogana, previa corretta classificazione delle merci secondo la nomenclatura combinata. È opportuno coordinarsi con lo spedizioniere doganale e aggiornare i tracciati XML per l’IVA all’importazione.

Esportazioni: nodo irrisolto
Restano invariate le procedure autorizzative per l’esportazione di beni culturali ultracentenari, che costituiscono ancora un freno alla fluidità del mercato. Nonostante l’apertura fiscale, permane un impianto burocratico rigido che ostacola la piena valorizzazione dell’arte italiana sui mercati globali.

Prospettive e criticità: verso una riforma strutturale?

La misura, pur positiva, presenta zone d’ombra che dovranno essere chiarite:

  • Le modalità di coordinamento tra IVA agevolata e altri regimi speciali (es. esonero ex L. 398/1991 per soggetti minori);
  • Il trattamento degli acconti versati in epoca antecedente alla riforma;
  • L’eventuale semplificazione del regime del margine o la sua graduale eliminazione;
  • Le implicazioni per gli enti non commerciali che vendono opere d’arte in contesti museali o espositivi.

È attesa una circolare attuativa dell’Agenzia delle Entrate entro luglio 2025, che dovrebbe chiarire questi aspetti.

Conclusioni

L’IVA al 5% sull’arte segna un cambio di paradigma nel trattamento fiscale dei beni culturali in Italia. Si tratta di una leva di politica economica che, se accompagnata da semplificazioni operative e da una strategia di valorizzazione strutturale del comparto, può trasformare il Paese in un hub artistico di riferimento per collezionisti, investitori e creatori.

Mercato dell’arte: il governo spinge gli operatori all’estero

Il mercato dell’arte italiano sta affrontando una fase critica a causa di recenti decisioni legislative che rischiano di penalizzare ulteriormente gli operatori del settore. Questo articolo, originariamente pubblicato da Massimiliano Silla, consulente finanziario indipendente, analizza le implicazioni del D.lgs. 201/2024 e le sue mancate riforme fiscali e normative.

Perché gli operatori del mercato dell’arte italiani si stanno spostando all’estero?

Il decreto legislativo D.lgs. 201/2024, che avrebbe dovuto introdurre agevolazioni per il settore culturale, non ha ridotto l’Iva sulle opere d’arte, mantenendola al 22%. Questo rende l’Italia meno competitiva rispetto a paesi come Germania (7%) e Francia (5,5%), spingendo galleristi, artisti e altri professionisti a trasferire attività all’estero per operare con aliquote più vantaggiose.

Quali sono le aliquote IVA sull’arte in Italia rispetto agli altri paesi europei?

In Italia l’Iva sulle opere d’arte è fissata al 22%, una delle più alte in Europa. Germania e Francia applicano invece aliquote agevolate: rispettivamente il 7% e il 5,5%. Questo squilibrio fiscale penalizza il mercato italiano, incentivando gli operatori a vendere e acquistare beni artistici in paesi con fiscalità più favorevole.

Come influisce il D.lgs. 201/2024 sulla circolazione delle opere d’arte?

Il decreto non ha modificato la soglia di valore per la libera circolazione delle opere d’arte, mantenendola a 13.500 euro. In altri paesi europei, come Francia e Regno Unito, questa soglia è significativamente più alta, semplificando il commercio internazionale. La rigidità della normativa italiana rende più complesse le transazioni, danneggiando la competitività del mercato domestico.

Quali categorie professionali sono colpite da queste scelte legislative?

Le decisioni del governo impattano l’intera filiera artistica: artisti (che faticano a vendere a prezzi competitivi), galleristi (costretti a operare all’estero), restauratori (con meno commissioni legate al mercato interno) e fiere d’arte (che perdono appeal internazionale a causa degli ostacoli normativi).

Perché la soglia dei 13.500 euro è problematica per il mercato dell’arte?

Una soglia così bassa obbliga gli operatori a seguire procedure burocratiche complesse per opere di valore superiore, come certificazioni e autorizzazioni. In paesi come la Francia, soglie più elevate (oltre i 50.000 euro) facilitano il commercio, attirando investitori e collezionisti stranieri a discapito dell’Italia.

Quali sono le conseguenze a lungo termine per il sistema dell’arte italiano?

La combinazione di Iva elevata e regole restrittive sulla circolazione rischia di:

  • Ridurre il volume d’affari nel mercato interno;
  • Spostare il baricentro degli investimenti verso l’estero;
  • Indebolire la presenza italiana in fiere e eventi internazionali;
  • Danneggiare la tutela del patrimonio artistico, con meno risorse per la conservazione.

Esistono proposte per correggere queste criticità?

Gli esperti del settore chiedono da tempo un allineamento alle normative europee, con una riduzione dell’Iva almeno al 10% e un innalzamento della soglia di circolazione delle opere a 50.000 euro. Tuttavia, il D.lgs. 201/2024 ha ignorato queste richieste, lasciando il sistema dell’arte italiano in una posizione di svantaggio.

Conclusione

Le scelte del governo delineate nel D.lgs. 201/2024 rischiano di accelerare la fuga all’estero di professionisti e capitali nel mercato dell’arte.

La Tassazione del “Collezionista Ibrido

La Tassazione del “collezionista ibrido”

Essere un collezionista oggi significa molto più che acquistare beni di valore per passione. La figura del “collezionista ibrido”, che unisce interesse culturale e finalità speculative, può trovarsi a dover affrontare questioni fiscali complesse. Con la giurisprudenza che evolve costantemente, comprendere le implicazioni legali e tributarie diventa essenziale. Di seguito, rispondiamo alle principali domande legate al tema, aiutandoti a navigare tra normativa, giurisprudenza e obblighi fiscali.

Chi è il “collezionista ibrido”?

Il “collezionista ibrido” è una figura che combina passione culturale e interesse speculativo. Acquista beni sia per il loro valore estetico e culturale sia con l’intento di trarne un profitto.

Quali sono le categorie di collezionisti secondo la giurisprudenza?

La giurisprudenza distingue tra:

  • Collezionista puro: Acquista solo per interesse estetico o culturale, senza finalità di lucro
  • Speculatore occasionale: Effettua vendite saltuarie con l’obiettivo di ottenere un guadagno
  • Imprenditore: Realizza transazioni abituali con finalità di lucro

Solo il reddito derivante dall’attività imprenditoriale è soggetto a tassazione e IVA.

Quali criteri determinano la classificazione di un collezionista?

La classificazione si basa su:

  • Frequenza e sistematicità delle transazioni
  • Durata del possesso dei beni
  • Finalità degli acquisti (culturale o speculativa)

Le operazioni regolari, numerose e di importi elevati, associate a un’ampia varietà di beni e soggetti coinvolti, possono far considerare un collezionista come un commerciante, rendendo l’attività fiscalmente rilevante.

Le operazioni occasionali sono tassabili?

Sì, le operazioni occasionali possono essere tassate come “redditi diversi”, a meno che non siano dovute a necessità economiche documentate. In questo caso, potrebbero essere esenti da tassazione.

Quando un collezionista è considerato commerciante?

Un collezionista rischia di essere considerato commerciante quando:

  • Le transazioni sono regolari e frequenti
  • I valori trattati sono elevati
  • Viene coinvolto un ampio numero di soggetti e beni di varia tipologia

In questi casi, il requisito dell’abitualità rende l’attività fiscalmente rilevante.

Come è cambiata la valutazione fiscale delle attività di un collezionista?

La giurisprudenza in passato analizzava la posizione complessiva del collezionista, considerando acquisti e vendite nel loro insieme, oltre ad attività intermedie come esposizioni e prestiti. Recentemente, però, si è passati a esaminare ogni singola operazione per determinarne la rilevanza fiscale.

Perché la nuova metodologia di analisi fiscale è più equa?

L’esame delle operazioni singole consente di distinguere meglio tra:

  • Comportamenti speculativi
  • Motivazioni culturali o di necessità economica

Questo approccio garantisce maggiore equità fiscale, adattandosi alle diverse situazioni dei collezionisti.

Conclusione

La figura del “collezionista ibrido” e le sue implicazioni fiscali richiedono attenzione e consapevolezza. Rivolgersi a un consulente finanziario indipendente aiuta a comprendere meglio le normative e a pianificare le proprie attività in modo conforme alla legge.

Obblighi fiscali e dichiarativi per opere d’arte, beni da collezione e cripto-attività

Obblighi fiscali e dichiarativi per opere d’arte, beni da collezione e cripto-attività

La detenzione e il commercio di opere d’arte, beni da collezione e cripto-attività comportano implicazioni fiscali rilevanti che è essenziale conoscere per operare in regola e ottimizzare la gestione patrimoniale.

Le opere d’arte e i beni da collezione producono redditi tassabili in Italia?

No, il possesso di opere d’arte e beni da collezione non genera redditi tassabili né è soggetto a imposta patrimoniale in Italia. Tuttavia, sorgono obblighi fiscali in caso di vendite, che possono essere classificate come abituali o occasionali.

Quando la vendita di opere d’arte viene considerata un’attività d’impresa?

La vendita abituale di opere d’arte configura un’attività d’impresa. In tal caso, è necessario dichiarare i redditi nei seguenti quadri:

  • Quadro RF: per redditi d’impresa ordinaria.
  • Quadro LM: per regime forfetario con ricavi fino a 85.000 euro.
  • Quadro RG: per contabilità semplificata con ricavi inferiori a 800.000 euro.

L’Irap non è dovuta in assenza di un’autonoma organizzazione volta a generare reddito.

Come vengono tassate le vendite occasionali di opere d’arte?

Le vendite occasionali generano un “reddito diverso” se l’acquisto iniziale era orientato al profitto. Questo reddito deve essere dichiarato nel Quadro RL della dichiarazione dei redditi, con possibilità di dedurre le spese inerenti.

Quali obblighi dichiarativi esistono per beni d’arte detenuti all’estero?

I beni d’arte e da collezione detenuti all’estero devono essere dichiarati nel Quadro RW per fini di monitoraggio fiscale. Questo obbligo si applica anche se i beni non producono redditi tassabili, includendo quelli conservati in cassette di sicurezza o detenuti tramite intermediari in Paesi non collaborativi.
Nel Quadro RW vanno riportati:

  • Il costo d’acquisto o il valore di mercato all’inizio e alla fine del periodo d’imposta.

Le stesse regole valgono per le cripto-attività e gli NFT?

Sì, le cripto-attività, inclusi gli NFT (non fungible token) che rappresentano opere d’arte digitali o beni da collezione, rientrano nelle medesime normative.
Si applica un’imposta sostitutiva del 26% sulle plusvalenze superiori a 2.000 euro.

  • Le plusvalenze sono calcolate come differenza tra il corrispettivo percepito e il costo d’acquisto.
  • Eventuali minusvalenze possono essere portate in deduzione nei quattro anni successivi.

Come viene determinato il costo d’acquisto per beni ereditati o donati?

  • Eredità: Il costo è quello dichiarato nell’imposta di successione.
  • Donazione: Il costo è quello del donante.
  • Mancanza di documentazione: Il costo è considerato pari a zero.

Conclusione

Conclusione

Affrontare i temi fiscali legati a opere d’arte, beni da collezione e cripto-attività richiede attenzione e competenza. Rivolgersi a un consulente finanziario indipendente garantisce una gestione trasparente e personalizzata delle proprie esigenze patrimoniali e fiscali. Affidatevi a un professionista per operare in regola e ottimizzare i vostri investimenti.

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Arte frazionata: possedere una quota di un capolavoro di Picasso è ora possibile grazie alla multiproprietà.

Arte frazionata: possedere una quota di un capolavoro di Picasso è ora possibile grazie alla multiproprietà.

La proprietà frazionata ha reso accessibile a un pubblico più vasto l’investimento in opere d’arte blue chip, democratizzando un settore tradizionalmente riservato a collezionisti e investitori facoltosi. Piattaforme come Masterworks e Splint Invest hanno innovato questo mercato, permettendo l’acquisto di quote di opere d’arte di alto valore. Tuttavia, come ogni investimento, anche questo settore presenta opportunità e rischi da valutare con attenzione.

Cos’è la proprietà frazionata nell’arte?

La proprietà frazionata è un modello d’investimento che consente a più persone di possedere quote di un’opera d’arte. Questo approccio permette l’accesso a capolavori come quelli di Warhol o Monet senza dover acquistare l’opera intera, rendendo l’arte blue chip più accessibile.

Quali piattaforme stanno guidando il mercato della proprietà frazionata nell’arte?

Masterworks è una delle principali piattaforme, attiva dal 2017. Ha investito quasi un miliardo di dollari in opere di artisti affermati come Monet e Warhol. Nel 2023, ha diversificato il portafoglio includendo giovani artisti contemporanei come Nicolas Party e disinvestendo 23 opere per un totale di 64,9 milioni di dollari.
Anche Splint Invest, una startup svizzera, offre investimenti frazionati in arte, whisky e orologi, con un accesso iniziale di soli 50 euro.

Quali sono i rendimenti degli investimenti frazionati nell’arte?

Un esempio di successo è la vendita di Coup de Vent di Monet tramite Masterworks, che ha generato un rendimento lordo del 28,2%. Tuttavia, è fondamentale considerare le commissioni applicate dalle piattaforme, che possono ridurre significativamente i guadagni netti.

Quali sono i vantaggi dell’investimento frazionato nell’arte?

I vantaggi sono diversi:

  • Accessibilità: Consente di possedere quote di opere iconiche con un investimento iniziale ridotto.
  • Diversificazione: Offre l’opportunità di diversificare il portafoglio con beni non correlati ai mercati tradizionali.
  • Valore culturale: Permette di investire in beni con significato estetico e storico.

Quali sono i rischi e le limitazioni dell’investimento frazionato nell’arte?

Ci sono alcuni svantaggi:

  • Controllo limitato: Gli investitori non hanno un controllo diretto sull’opera.
  • Illiquidità: Il mercato secondario per rivendere le quote è spesso poco sviluppato.
  • Alti rischi: La volatilità del mercato dell’arte può portare a perdite significative.
  • Commissioni elevate: Possono influire notevolmente sui rendimenti.

Quali beni sono inclusi nella proprietà frazionata offerta da Splint Invest?

Splint Invest permette di investire in arte, whisky e orologi di lusso. Nel 2023-2024, il valore complessivo dei beni artistici offerti è stato di circa 6,9 milioni di euro.

Cosa devono considerare gli investitori prima di scegliere la proprietà frazionata nell’arte?

Gli investitori devono:

  • Valutare attentamente le commissioni applicate dalle piattaforme.
  • Considerare il livello di rischio legato alla natura illiquida e poco regolamentata del settore.
  • Informarsi sulla trasparenza e la reputazione della piattaforma scelta.

Conclusione

La proprietà frazionata rappresenta un’innovazione significativa nel mercato dell’arte, rendendo accessibili investimenti in opere di grande valore. Tuttavia, richiede un approccio informato e prudente per bilanciare opportunità e rischi in un mercato ancora in fase di regolamentazione. Il contributo di un consulente finanziario indipendente può aiutare a fare la scelta migliore

Fonte

La tassazione delle cessioni di opere d’arte: nuove linee guida dalla Corte di Cassazione

Nell’ambito della normativa fiscale, la vendita sistematica di opere d’arte può configurarsi come attività d’impresa e produrre reddito imponibile, come stabilito dall’ordinanza n. 1603 del 16 gennaio 2024 della Corte di Cassazione. Questa decisione segue la tendenza giurisprudenziale secondo cui non è necessaria un’attività continuativa per determinare la natura imprenditoriale delle cessioni; elementi come il numero di transazioni, gli importi significativi, la varietà dei beni venduti e il numero degli acquirenti sono fattori rilevanti.

Il caso in esame riguardava un commerciante d’arte a cui l’Agenzia delle Entrate aveva inviato due avvisi di accertamento. L’Agenzia sosteneva che il soggetto avesse la qualifica di imprenditore commerciale, rendendo così i proventi delle vendite soggetti a imposte dirette e IVA. In contrasto, il contribuente si difendeva affermando di essere un mero collezionista privato, senza un’organizzazione autonoma, e che le sue vendite rappresentassero semplicemente la dismissione di parte del suo patrimonio personale.

La Corte di Cassazione ha respinto le argomentazioni del contribuente, ribadendo una distinzione già fatta nella sentenza n. 6874/2023 tra la definizione civilistica e quella fiscale di “imprenditore commerciale”. A fini fiscali, l’essenzialità dell’organizzazione aziendale richiesta dal diritto civile non è necessaria; basta la “professionalità abituale” dell’attività economica.

L’articolo 55 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) e l’articolo 4 del decreto IVA chiariscono che la professionalità abituale, anche se non esclusiva, delle attività enumerate nell’articolo 2195 del codice civile, soddisfa il requisito per la qualificazione imprenditoriale a fini fiscali, senza necessità di un’autonoma organizzazione di mezzi.

Inoltre, la Corte di Cassazione ha delineato una tripartizione tra mercante d’arte, speculatore occasionale e mero collezionista. Il mercante, che agisce professionalmente e abitualmente anche senza una struttura imprenditoriale organizzata, è soggetto alle imposte dirette, all’IVA e, in alcuni casi, all’IRAP. Lo speculatore occasionale, che compra e vende opere d’arte sporadicamente per profitto, genera redditi diversi, non rientrando nell’ambito delle attività imprenditoriali abituali. Infine, il collezionista puro, che acquista opere per interesse personale senza intenzione di rivendita, non è soggetto a tassazione su tali cessioni, mancando i requisiti di abitualità e scopo speculativo.

La sentenza enfatizza l’importanza dell’analisi del contesto specifico per determinare la natura dell’attività, sottolineando che anche la modalità di reinvestimento dei profitti (in beni anziché in denaro) non altera la sostanza dell’arricchimento patrimoniale.

Questo chiarimento giurisprudenziale fornisce un quadro più definito per la distinzione delle attività nel mercato dell’arte, attendendo ulteriori direttive legislative per una completa regolamentazione della materia.