Negli ultimi mesi si è tornato a parlare con insistenza del carry trade sullo yen giapponese, una strategia che, pur essendo tecnicamente complessa, svolge un ruolo cruciale nei flussi di liquidità globali. Il suo andamento, oggi più che mai, rappresenta un indicatore della stabilità (o fragilità) dei mercati finanziari internazionali.
Cos’è il carry trade
Il carry trade consiste nel prendere a prestito denaro in una valuta con tassi d’interesse molto bassi per investirlo in asset denominati in valute con rendimenti più elevati.
Il profitto deriva dal differenziale di tasso (interest rate differential), cioè dalla differenza tra ciò che si paga per finanziarsi e ciò che si ottiene investendo.
Finché i cambi restano stabili e il differenziale resta ampio, la strategia può risultare molto redditizia. Ma il suo equilibrio è estremamente sensibile: basta una variazione nei tassi o un movimento improvviso del cambio per ribaltare completamente i risultati.
Perché lo yen è la valuta di riferimento
Lo yen giapponese è tradizionalmente considerato la valuta di finanziamento per eccellenza nel mondo del carry trade.
Per oltre due decenni, la Bank of Japan (BoJ) ha mantenuto una politica monetaria ultra-accomodante per contrastare la deflazione e sostenere la crescita, lasciando i tassi d’interesse vicini o addirittura inferiori allo zero.
In questo contesto, prendere a prestito in yen è stato estremamente conveniente: gli investitori internazionali hanno potuto trasformare il basso costo del denaro giapponese in una leva per finanziare posizioni su titoli di Stato, obbligazioni corporate, azioni o valute più redditizie.
Un cambio di rotta (cauto) da parte della BoJ
Dopo anni di immobilismo, la Bank of Japan ha avviato — con grande cautela — una fase di normalizzazione monetaria.
Dalla primavera del 2024 i tassi d’interesse sono tornati lievemente positivi (intorno allo 0,25–0,5%) e l’istituto guidato da Kazuo Ueda ha segnalato una maggiore attenzione ai rischi inflazionistici.
Questo cambiamento, pur marginale in termini assoluti, è sufficiente a modificare la percezione del rischio associato al carry trade in yen.
Lo yen, dopo essersi indebolito fino a toccare quota 160 contro il dollaro, ha mostrato segnali di recupero, alimentati anche dalle aspettative di ulteriori rialzi e da possibili interventi verbali della BoJ sul mercato valutario.
I rischi del meccanismo
Il carry trade sullo yen è redditizio solo finché la valuta giapponese rimane debole.
Un suo apprezzamento improvviso — magari innescato da un cambiamento nella politica monetaria o da tensioni geopolitiche — può costringere gli investitori a chiudere le posizioni e a ricomprare yen per rimborsare i prestiti, generando vendite a catena su altri asset.
Questo fenomeno, noto come unwinding del carry trade, è stato osservato in diverse fasi di tensione dei mercati globali, come durante la crisi finanziaria del 2008 o nella fase iniziale della pandemia nel 2020.
Secondo alcuni analisti, un movimento simile — anche se di entità minore — potrebbe ripresentarsi qualora lo yen continuasse ad apprezzarsi.
Ripercussioni sui mercati internazionali
Il carry trade in yen rappresenta una delle principali fonti di liquidità “ombra” che alimentano i mercati finanziari.
Quando la strategia è in pieno vigore, gli investitori tendono a spingersi verso asset più rischiosi, sostenendo le quotazioni di azioni, obbligazioni ad alto rendimento e valute emergenti.
Al contrario, una fase di chiusura del carry trade può generare un deflusso di capitali e un aumento repentino della volatilità, soprattutto nei segmenti di mercato più esposti ai flussi speculativi internazionali.
Molti osservatori ritengono che questa dinamica possa amplificare movimenti già in corso, più che crearne di nuovi: il carry trade non è la causa dei cicli di mercato, ma spesso ne esaspera gli effetti.
Uno scenario in evoluzione
Al momento, la BoJ procede con estrema gradualità, cercando di non destabilizzare i mercati valutari e obbligazionari. Tuttavia, il margine di manovra resta limitato: da un lato, l’inflazione giapponese è più persistente del previsto; dall’altro, un rialzo eccessivo dei tassi rischierebbe di indebolire la fragile ripresa economica interna.
La conseguenza è che il carry trade sullo yen resta un equilibrio precario, influenzato tanto dalle decisioni di Tokyo quanto da quelle di Washington.
Finché il differenziale tra i tassi statunitensi e giapponesi rimarrà ampio, la strategia potrebbe continuare ad attrarre capitali. Ma il rischio di un’inversione improvvisa resta dietro l’angolo.
In sintesi
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