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Insights

Debito pubblico USA: tra downgrade, rifinanziamento e sfiducia dei mercati

25/05/2025

Debito pubblico USA: tra downgrade, rifinanziamento e sfiducia dei mercati

Massimiliano Silla

Il debito pubblico statunitense ha raggiunto livelli storici senza precedenti, sia in termini assoluti che in rapporto al PIL. Con una dinamica di rifinanziamento sempre più onerosa, il recente downgrade del rating sovrano da parte di Moody’s il 16 maggio 2025 rappresenta un evento spartiacque. In un contesto globale sempre più sensibile al rischio, si rafforzano i timori su stabilità fiscale, credibilità politica e fiducia internazionale.

Un debito fuori scala: 34.000 miliardi di dollari e oltre

Nel 2025 il debito federale degli Stati Uniti ha superato i 34.000 miliardi di dollari, portando il rapporto debito/PIL oltre il 120%. Le principali cause di questa crescita esponenziale sono:

  • politiche espansive pluridecennali,
  • riduzioni fiscali non compensate da tagli di spesa,
  • interventi straordinari durante crisi finanziarie e pandemiche,
  • l’inerzia strutturale dei programmi di welfare.

Questa massa debitoria richiede un costante rifinanziamento, con emissione continua di nuovi titoli del Tesoro, molti dei quali a breve o media scadenza. Il rialzo dei tassi d’interesse operato dalla Federal Reserve tra il 2022 e il 2024 ha reso questo rifinanziamento sempre più costoso.

Il downgrade di Moody’s: la caduta della tripla A

Il 16 maggio 2025, l’agenzia Moody’s ha declassato il rating del debito sovrano degli Stati Uniti da Aaa ad Aa1, con outlook negativo. Si tratta dell’ultimo anello di una catena iniziata nel 2011 con S&P e proseguita nel 2023 con Fitch. Ora anche l’ultima “tripla A” è caduta.

Tra le motivazioni indicate da Moody’s:

  • L’assenza di un piano credibile di contenimento del debito;
  • Il continuo ricorso al debito per finanziare la spesa corrente, in un contesto di rallentamento economico;
  • Le tensioni politiche ricorrenti legate al tetto del debito, che generano incertezza sui mercati;
  • L’aumento strutturale degli interessi passivi, che nel 2025 supereranno i 1.200 miliardi di dollari annui.

Il downgrade è un segnale forte: anche il debito americano può perdere lo status di investimento privo di rischio.

Tassi alti e rifinanziamento: un equilibrio sempre più precario

I titoli del Tesoro USA a 10 anni offrono oggi rendimenti tra 4,5% e 5%, ben superiori rispetto al decennio passato. Questa normalizzazione dei tassi, da un lato, riflette il ritorno a condizioni monetarie meno espansive, ma dall’altro mette sotto pressione il bilancio federale.

Le conseguenze principali sono:

  • Costo crescente del nuovo debito: ogni punto percentuale in più si traduce in decine di miliardi di interessi in più.
  • Rischio di spirale deficit-interessi: più spesa per interessi, meno margine per servizi pubblici e investimenti.
  • Maggiore vulnerabilità a shock esterni: geopolitici, finanziari o legati alla domanda di titoli.

Strategie possibili tra Tesoro e Federal Reserve

Di fronte a questa situazione, il governo e la Federal Reserve possono adottare alcune contromisure, seppur con margini sempre più stretti.

1. Allungamento delle scadenze

Il Tesoro può cercare di emissione titoli a lunga durata per bloccare i tassi odierni su orizzonti più estesi. Tuttavia, questo comporta costi immediati maggiori, poco appetibili in fase di alta spesa.

2. Consolidamento fiscale

La strategia strutturale prevederebbe:

  • revisione delle agevolazioni fiscali,
  • contenimento della spesa obbligatoria (Social Security, Medicare),
  • razionalizzazione della spesa militare e discrezionale.

Ma il blocco politico in Congresso rende improbabile una riforma di ampio respiro nel breve termine.

3. Politica monetaria più accomodante

La Federal Reserve potrebbe intervenire con:

  • un taglio dei tassi, se le condizioni macroeconomiche lo consentiranno;
  • un ritorno al quantitative easing, sostenendo direttamente il mercato dei Treasury.

Tuttavia, ciò comporterebbe il rischio di riaccendere l’inflazione e alimentare dubbi sulla neutralità della Fed.

Fiducia internazionale in calo

Un fattore cruciale è rappresentato dalla posizione degli investitori esteri, che detengono circa un terzo del debito federale. Paesi come Giappone, Cina, Regno Unito e Irlanda sono tra i principali creditori.

Negli ultimi anni, si osservano tendenze preoccupanti:

  • La Cina ha ridotto le proprie riserve in titoli USA, anche per motivi geopolitici;
  • Le banche centrali stanno diversificando le proprie riserve, puntando su oro, valute alternative e asset reali;
  • La percezione del dollaro come “bene rifugio” non è più assoluta.

Una contrazione strutturale della domanda estera di Treasury comporterebbe:

  • aumento della dipendenza dagli investitori domestici,
  • pressione sui rendimenti,
  • rischio di shock valutario sul dollaro.

Conclusioni: il credito illimitato non è più garantito

Per decenni, gli Stati Uniti hanno beneficiato di una fiducia globale illimitata, grazie alla loro stabilità politica, alla forza del dollaro e al peso dell’economia americana nel mondo. Il downgrade di Moody’s del 16 maggio 2025 rappresenta una svolta simbolica e sostanziale: il mercato inizia a considerare il debito USA come esposto a rischi concreti.


Senza una svolta nella gestione fiscale e nella coesione politica interna, gli Stati Uniti potrebbero avviarsi verso un’erosione progressiva del proprio primato finanziario globale. Il tempo per correggere la rotta non è ancora scaduto, ma lo spazio di manovra si restringe.

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