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Come paghi (davvero) il tuo consulente: i cinque modelli di costo che ogni investitore dovrebbe conoscere

04/10/2025

Come paghi (davvero) il tuo consulente: i cinque modelli di costo che ogni investitore dovrebbe conoscere

Massimiliano Silla

C’è una domanda che ogni investitore dovrebbe porsi prima ancora di scegliere dove investire:

“Come viene remunerato il mio consulente?”

Sembra banale, ma è il punto di partenza per capire come lavora davvero chi ti consiglia come gestire i tuoi risparmi.

Dietro ogni proposta d’investimento si nasconde infatti un sistema di compensi — e non tutti allineano allo stesso modo gli interessi del cliente e del consulente.

Vediamo allora i principali cinque modelli di costo nel settore della consulenza finanziaria: come funzionano, che logica li guida e, soprattutto, quali implicazioni hanno per te come investitore.

1. Commission only: il modello tradizionale

È il sistema più antico e, in molti casi, ancora oggi il più diffuso: il consulente viene pagato dalla banca o dalla società che emette o colloca il prodotto, sotto forma di commissioni o retrocessioni.

Per il cliente, la consulenza “non costa nulla” — almeno in apparenza. In realtà, la remunerazione è già inclusa nel costo dei prodotti: fondi, polizze, gestioni, ecc.

Il problema? L’evidente conflitto di interessi. Se il guadagno del consulente dipende dal prodotto venduto, la tentazione di privilegiare ciò che paga di più è inevitabile.

Ecco perché, a livello europeo, la MiFID II impone limiti precisi: le commissioni sono ammesse solo nella consulenza non indipendente, e solo se migliorano la qualità del servizio senza danneggiare l’interesse del cliente. Nel Regno Unito, invece, sono state addirittura vietate già dal 2012.

2. Fee on top: la parcella “sopra” i costi di prodotto

Nel modello fee on top il consulente è pagato direttamente dal cliente, con una parcella in percentuale sul patrimonio o con una quota fissa, in aggiunta ai costi dei prodotti o della piattaforma.

In pratica, è come dire: “Tu paghi il mio servizio, e paghi anche i costi vivi dei prodotti che utilizziamo.”

È un sistema molto trasparente, perché separa nettamente il valore della consulenza dal costo della gestione.

Il cliente sa quanto paga per la testa del consulente e quanto per gli strumenti.

È lo standard ormai prevalente nel mondo anglosassone, dove il principio del “adviser charging” è diventato sinonimo di trasparenza e responsabilità.

L’unico punto critico? Può rappresentare un “doppio costo”, se non viene spiegato con chiarezza il valore aggiunto della consulenza rispetto al semplice prodotto.

3. Fee & commission: un modello ibrido

Come suggerisce il nome, questo sistema unisce una parcella pagata dal cliente e commissioni provenienti da terzi.

È tipico di chi svolge consulenza non indipendente ma cerca di dare un segnale di trasparenza, chiedendo anche una parte fissa per la propria attività.

È un compromesso tra vecchio e nuovo mondo: più trasparente del commission only, ma ancora legato a logiche di retrocessione.

Funziona bene solo se c’è chiarezza assoluta sulle fonti di guadagno e se il consulente rende conto periodicamente di quanto ha incassato da ogni parte.

Altrimenti il rischio è di creare confusione e alimentare il sospetto del cliente (“mi stai consigliando questo fondo perché ti conviene o perché conviene a me?”).

4. Fee offset: la parcella che si “autofinanzia”

Il modello fee offset è una sorta di versione evoluta del precedente.

Il consulente stabilisce una parcella annua chiara, ma qualsiasi commissione ricevuta da terzi viene restituita o scomputata dalla parcella del cliente.

In pratica, se il consulente riceve retrocessioni, queste vengono accreditate interamente al cliente, riducendo la parcella fino anche ad azzerarla.

È un sistema elegante e coerente con la logica dell’indipendenza, perché neutralizza il conflitto economico pur riconoscendo che, in certi mercati (pensiamo alle polizze vita o ai fondi esteri), le commissioni esistono comunque.

È un modello tecnicamente complesso — richiede precisione nella rendicontazione e trasparenza contrattuale — ma rappresenta una via di mezzo intelligente tra mondo fee-only e mercato reale.

5. Fee only: la vera consulenza indipendente

Infine, il modello più puro: fee only.

Il consulente è pagato solo dal cliente, con parcella diretta, senza ricevere alcuna provvigione o incentivo da intermediari.

Nessuna retrocessione, nessun conflitto, nessun dubbio su “da che parte sta”.

È il sistema adottato dai consulenti finanziari indipendenti e dalle Società di Consulenza Finanziaria (SCF) in Italia, come previsto dalla normativa MiFID II.

L’unica fonte di reddito è la fiducia del cliente e il valore percepito del servizio.

Dal punto di vista del cliente, questo è il modello più trasparente e coerente con l’interesse personale.

L’unico “ostacolo” è culturale: si paga una parcella esplicita, e non tutti sono abituati a riconoscere un costo per un servizio che, per decenni, è stato “incluso” nei prodotti finanziari.

Ma, in un mondo dove ogni costo nascosto erode rendimento, pagare in modo chiaro significa tenere in mano il volante delle proprie scelte.

In sintesi

Ogni modello ha una sua logica e una sua storia.

La differenza sta nel livello di trasparenza e nel grado di allineamento tra consulente e cliente.

ModelloChi pagaConflitto potenzialeTrasparenza
Commission onlyProduttoreAltoBassa
Fee & commissionCliente + produttoriMedioMedia
Fee offsetCliente (con accredito commissioni)BassoAlta
Fee on topClienteMedio-bassoAlta
Fee onlySolo clienteNessunoMassima

Attenzione agli incentivi nascosti: bonus, premi e obiettivi di rete

Anche quando il consulente applica una parcella diretta o un modello “ibrido”, se lavora per conto di una banca, di una SIM o di una compagnia assicurativa, la sua remunerazione può includere componenti variabili difficili da individuare.

Oltre alle commissioni e retrocessioni sui prodotti, infatti, molti intermediari riconoscono ai propri consulenti:

  • bonus di produzione, legati ai volumi di raccolta o alle vendite di determinati strumenti finanziari o polizze;
  • incentivi commerciali, che premiano il raggiungimento di target periodici o la promozione di specifiche linee di prodotto;
  • premi fedeltà o benefit aziendali, che possono includere vantaggi economici, viaggi o riconoscimenti di carriera.

Questi meccanismi non sono di per sé illeciti, ma possono generare conflitti d’interesse anche nei modelli di consulenza che sembrano “a parcella”.

Un consulente interno a una banca, ad esempio, potrebbe applicare una fee on top ma essere comunque incentivato a favorire i prodotti della propria casa.

La vera trasparenza non riguarda solo “quanto ti costa” la consulenza, ma da dove arrivano i guadagni di chi ti consiglia.

Un consiglio finale

Quando scegli un consulente, non chiedergli solo “quanto rende” o “quali prodotti usa”.

Chiedigli, con la stessa naturalezza:

“Come vieni remunerato? Da chi?”

La risposta ti dirà molto più di qualsiasi prospetto.

Perché la vera differenza, nel lungo periodo, non la fanno i mercati, ma la trasparenza del rapporto e la qualità dell’allineamento tra chi affida il proprio capitale e chi lo consiglia.

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