Skip to main content
Nel patrimonio delle famiglie imprenditoriali italiane le partecipazioni societarie – azioni e quote – sono spesso il “vero” bene di maggior valore, molto più della casa o dei depositi. Proprio per questo, quando una partecipazione viene trasferita per successione o donazione, la domanda non è solo “quanto vale?”, ma soprattutto: qual è il valore fiscalmente rilevante su cui calcolare l’imposta.

Partecipazioni in successione o donazione: come si determina la base imponibile (e quindi l’imposta)

Nel patrimonio delle famiglie imprenditoriali italiane le partecipazioni societarie – azioni e quote – sono spesso il “vero” bene di maggior valore, molto più della casa o dei depositi. Proprio per questo, quando una partecipazione viene trasferita per successione o donazione, la domanda non è solo “quanto vale?”, ma soprattutto: qual è il valore fiscalmente rilevante su cui calcolare l’imposta.

La questione è diventata ancora più delicata dopo la riforma che ha rafforzato la logica dell’autoliquidazione: in sostanza, al contribuente è richiesto di determinare l’imposta dovuta (sulla base imponibile corretta), con un livello di attenzione che prima veniva percepito più “mediato” dagli uffici.

Prima di entrare nei criteri di calcolo, è utile ricordare due punti:

  1. Il valore delle partecipazioni concorre alla base imponibile su cui applicare aliquote e franchigie, che variano a seconda del grado di parentela (o del rapporto) con il defunto/donante.
  2. Accanto al regime ordinario, esiste – quando ricorrono specifici requisiti – la possibilità di esenzione per taluni trasferimenti di partecipazioni in ottica di continuità e passaggio generazionale (art. 3, comma 4-ter, TUS). Se l’esenzione non è applicabile, si torna alle regole “ordinarie” di valorizzazione.

Il perno tecnico, oggi, è rappresentato dai criteri previsti dall’art. 16 del TUS (con trasposizione nel nuovo impianto normativo richiamato nel testo): criteri che, nella sostanza, distinguono tra partecipazioni quotate e non quotate.

Il primo bivio: partecipazioni quotate o non quotate?

Questa distinzione non è un formalismo. Cambia proprio il “metro” con cui si misura il valore fiscale.

1) Partecipazioni quotate: il valore si ancora al mercato

Quando oggetto di trasferimento sono azioni o titoli negoziati su mercati regolamentati, il legislatore adotta un criterio di apparente semplicità: la base imponibile è pari alla media dei prezzi di borsa riferita all’ultimo trimestre precedente:

  • alla data dell’atto (per la donazione), oppure
  • all’apertura della successione (per l’eredità).

Dentro questo valore vanno considerati anche gli elementi “accessori” già maturati, come dietimi e interessi (quando rilevanti), perché l’imposta guarda alla consistenza economica complessiva trasferita.

Se però non esistono dati di mercato sufficientemente puntuali o utilizzabili, la norma consente di “ripiegare” sui criteri previsti per le partecipazioni non quotate. È un passaggio che, nella pratica, emerge più spesso di quanto si pensi in presenza di strumenti poco liquidi, sospesi, o con informazioni non univoche.

2) Partecipazioni non quotate: il fulcro è il patrimonio netto “contabile”

Per le quote e le azioni di società non quotate, il criterio si sposta dal mercato alla contabilità: la base imponibile viene determinata in proporzione alla partecipazione, facendo riferimento al patrimonio netto contabile della società.

Qual è il documento di riferimento?

  • l’ultimo bilancio approvato e pubblicato, oppure
  • il più recente inventario redatto e vidimato alla data della donazione o all’apertura della successione.

Questa impostazione è importante: il legislatore non sta chiedendo di stimare “quanto pagherebbe un investitore terzo oggi”, ma di utilizzare un criterio oggettivabile e documentabile, ancorato a un dato contabile.

Le variazioni tra bilancio e trasferimento: attenzione ai “salti” patrimoniali

Tra la data del bilancio e la data effettiva del trasferimento possono però verificarsi eventi che cambiano significativamente la fotografia (per esempio: dismissioni, perdite rilevanti, rivalutazioni, contenziosi, nuove passività, incassi straordinari). In questi casi, le variazioni significative del patrimonio devono essere considerate: è un passaggio cruciale perché evita che l’imponibile sia “tecnicamente corretto” ma sostanzialmente non rappresentativo.

Un chiarimento della Cassazione

Sul tema di quale bilancio utilizzare, la giurisprudenza ha aggiunto un tassello: la Cassazione (sentenza n. 17062/2013) ha indicato che, in determinate circostanze, può essere preso in considerazione anche un bilancio approvato successivamente, purché riferito a un periodo precedente alla data rilevante per il trasferimento. Tradotto: conta la competenza temporale del documento, non solo la data in cui viene formalmente approvato.

Se mancano bilancio e inventario: quando serve una valutazione analitica del patrimonio

Può capitare – specie in realtà piccole, società “di famiglia”, compagini informali – che non sia disponibile né un bilancio utilizzabile né un inventario coerente con la data rilevante.

In questa ipotesi, la base imponibile si determina guardando al patrimonio netto complessivo, calcolato come:

  • totale beni e diritti all’attivo
  • meno le passività risultanti secondo i criteri previsti dalla disciplina (con le specifiche esclusioni richiamate dalla norma).

Qui, la logica cambia: non si può più appoggiare il calcolo a un documento contabile “chiuso”, e diventa necessario ricostruire il patrimonio con un approccio analitico, vicino a una valutazione “a valori correnti” dei singoli elementi (in termini divulgativi: una ricostruzione ragionata del valore dei beni e dei debiti, voce per voce).

È un terreno più sensibile, perché aumenta la discrezionalità e, di conseguenza, cresce anche l’importanza di:

  • documentare i criteri usati,
  • rendere coerente la valutazione,
  • evitare approssimazioni che potrebbero generare contestazioni.

La disciplina delle partecipazioni non quotate si applica anche al trasferimento di quote di società semplici e società di fatto, dove – non di rado – la “contabilità” è meno strutturata e quindi questo tema diventa concretissimo.

Passaggio generazionale: quando le regole di valore diventano strategia

Fin qui la teoria. Nella vita reale, però, successioni e donazioni non sono quasi mai eventi “isolati”: spesso si inseriscono in un percorso di riorganizzazione societaria e pianificazione del passaggio generazionale.

È qui che la determinazione della base imponibile – apparentemente un fatto tecnico – diventa anche una leva di progettazione.

L’esenzione (quando c’è) è la prima porta da valutare

Se ricorrono i requisiti dell’esenzione prevista dall’art. 3, comma 4-ter, TUS, la scelta è spesso naturale: il trasferimento può avvenire senza imposta, purché siano rispettate le condizioni poste dalla norma (che, per loro natura, vanno verificate caso per caso).

Quando invece quei requisiti non ci sono, entra in gioco la pianificazione.

Il collegamento con i conferimenti a realizzo controllato

Nelle operazioni di riorganizzazione, può emergere un’interazione con il meccanismo dei conferimenti a realizzo controllato (art. 177, commi 2 e 2-bis, TUIR). L’idea, in termini divulgativi, è questa:

  • il conferimento può incidere sulla struttura patrimoniale della società che riceve la partecipazione (la “conferitaria”),
  • e siccome, per le partecipazioni non quotate, la base imponibile è legata al patrimonio netto contabile, ciò può riflettersi anche sul valore fiscalmente rilevante della quota/azione trasferita successivamente per donazione.

Questo non significa “fare operazioni per pagare meno” in modo automatico. Significa, più correttamente, comprendere che gli istituti dialogano tra loro e che il risultato fiscale dipende dalla coerenza complessiva dell’operazione.

Il punto di attenzione: le ragioni extrafiscali

È essenziale ribadirlo con chiarezza: la concatenazione “conferimento + donazione” non può reggersi sulla sola finalità di ridurre l’imposta. Deve poggiare su ragioni extrafiscali non marginali (per esempio: razionalizzare la governance, separare rami d’azienda, pianificare la successione, proteggere asset strategici, stabilizzare i passaggi di controllo). In altre parole: la fiscalità può essere un parametro di efficienza, ma non l’unica ragione dell’architettura.

In conclusione: cosa cambia davvero per chi trasferisce partecipazioni

Quando si trasferiscono partecipazioni per successione o donazione, la partita non si gioca soltanto su aliquote e franchigie. Si gioca, prima ancora, sulla base imponibile, cioè sul valore fiscalmente corretto delle quote o azioni trasferite.

Con l’autoliquidazione, questo passaggio è diventato ancora più “responsabilizzante”: servono metodo, documenti e coerenza.

In sintesi, i punti chiave sono tre:

  • Quotate: valore legato alla media dei prezzi di mercato dell’ultimo trimestre rilevante.
  • Non quotate: valore proporzionale al patrimonio netto contabile (bilancio o inventario), con attenzione alle variazioni significative e ai chiarimenti giurisprudenziali.
  • Assenza di documenti contabili: ricostruzione analitica del patrimonio (beni e diritti meno passività), con maggiore necessità di tracciare e motivare i criteri adottati.

Se poi l’obiettivo è il passaggio generazionale, conoscere queste regole non è solo un modo per “fare bene” l’adempimento: è spesso la base per costruire un’operazione ordinata, sostenibile e difendibile, in cui diritto societario, assetto familiare e fiscalità parlano la stessa lingua.

Portafogli “Lazy”: Cosa Sono e Come Funzionano

Nel mondo degli investimenti, esistono diverse strategie per costruire e gestire un portafoglio. Tra queste, i portafogli “lazy” (letteralmente “pigri”) sono un’opzione sempre più popolare tra gli investitori che cercano semplicità, efficienza e buoni rendimenti nel lungo periodo con il minimo sforzo. Ma cosa sono esattamente e come funzionano?

Cosa Sono i Portafogli “Lazy”?

I portafogli “lazy” sono portafogli d’investimento costruiti con una strategia passiva e a basso mantenimento. Sono progettati per ridurre al minimo il numero di operazioni necessarie, evitando il market timing e riducendo i costi di gestione. L’idea alla base di questi portafogli è quella di selezionare una combinazione di asset diversificati e mantenerla nel tempo, ribilanciandola solo occasionalmente.

Come Funzionano?

I portafogli “lazy” si basano su alcuni principi fondamentali:

Basso Costo: Evitando operazioni frequenti e puntando su strumenti finanziari con commissioni ridotte, si minimizzano i costi di gestione.

Diversificazione: La chiave del successo di un portafoglio “lazy” è la diversificazione tra diverse classi di asset (azioni, obbligazioni, materie prime, ecc.). Questo aiuta a ridurre il rischio complessivo.

Gestione Passiva: Non si cerca di battere il mercato attraverso un continuo scambio di titoli, ma piuttosto si punta su ETF (Exchange Traded Fund) o fondi indicizzati a basso costo che replicano indici di mercato.

Ribilanciamento Periodico: Periodicamente (ad esempio una volta all’anno), si ribilancia il portafoglio per riportare la percentuale di ogni asset alla sua allocazione originale.

Esempi di Portafogli “Lazy”

Esistono diversi modelli di portafogli “lazy” che possono essere adottati, tra cui:

Portafoglio Permanent di Harry Browne: Diviso equamente tra azioni, obbligazioni a lungo termine, oro e contanti per offrire stabilità in ogni fase economica.

Portafoglio 60/40: Composto dal 60% di azioni (solitamente un ETF che replica l’indice S&P 500) e dal 40% di obbligazioni (ETF obbligazionari globali o governativi).

Portafoglio di Ray Dalio (All Weather Portfolio): Progettato per essere resistente in tutte le condizioni economiche, include azioni, obbligazioni a lungo termine, oro e materie prime.

Portafoglio Golden Butterfly: Il capitale viene suddiviso in 5 parti uguali: 20% Azioni Large Cap, 20% Azioni Small Cap, 20% Obbligazioni a lungo termine, 20% Obbligazioni a breve termine (o cash equivalenti), 20% Oro

Vantaggi e Svantaggi

Semplicità: Non richiedono competenze avanzate o un monitoraggio continuo.

Bassi costi: Riducendo al minimo le transazioni, si abbassano le commissioni.

Resa a lungo termine: Seguendo l’andamento generale del mercato, offrono rendimenti solidi nel lungo periodo.

Tuttavia, presentano anche alcuni svantaggi:

Pazienza e disciplina: È necessario resistere alla tentazione di vendere nei momenti di volatilità.

Nessun rendimento rapido: Non è adatto per chi cerca guadagni immediati.

Possibile necessità di ribilanciamento: Anche se limitato, il ribilanciamento richiede comunque un minimo di intervento periodico.