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Insights

Arte e liquidità: gli artisti che (ancora) si vendono bene nel 2025

08/10/2025

Arte e liquidità: gli artisti che (ancora) si vendono bene nel 2025

Massimiliano Silla

Nel mondo degli investimenti alternativi, l’arte ha un fascino tutto suo. Non si limita a essere un bene rifugio, ma rappresenta anche uno status, un linguaggio, talvolta una passione. Tuttavia, quando la si guarda con occhi da consulente patrimoniale, il quadro cambia. Qui non si parla solo di bellezza o riconoscibilità, ma di liquidabilità, ovvero della concreta possibilità di vendere un’opera nel momento giusto e a condizioni ragionevoli.

È in questa prospettiva che torna utile il recente Intelligence Report 2025 di Artnet, che ha provato a rispondere a una domanda semplice solo in apparenza: quali artisti, oggi, si vendono meglio?

Una risposta utile non solo ai collezionisti più esperti, ma anche a chi – con una visione prudente ma curiosa – considera l’arte come una componente da integrare in un portafoglio patrimoniale ben diversificato.

Quando il nome fa il mercato: Picasso, Warhol e Hockney

Tra gli artisti che garantiscono maggior “movimento” sul mercato secondario, non sorprende trovare Pablo Picasso. Il suo nome è un’istituzione, e la varietà delle sue opere – dalle ceramiche ai disegni, fino ai capolavori su tela – fa sì che ci sia praticamente sempre qualcosa in vendita, in ogni angolo del mondo.

Andy Warhol segue a ruota: la sua produzione seriale, il richiamo alla cultura pop e la sua capacità di attraversare indenne le mode lo rendono uno dei nomi più scambiati e riconoscibili. In altre parole, chi acquista Warhol sa già di poterlo rivendere, magari non con grandi guadagni, ma con tempi ragionevoli.

Un po’ più defilato ma in crescita costante è David Hockney, che si sta ritagliando uno spazio di tutto rispetto tra gli artisti moderni più liquidi. Il suo stile distintivo e la coerenza del percorso artistico lo rendono particolarmente interessante per collezionisti che cercano un buon compromesso tra notorietà e rivalutazione.

I contemporanei storicizzati: Kusama, Richter, Murakami

Il mercato contemporaneo non è fatto solo di scommesse e hype: alcuni artisti viventi sono ormai veri e propri “brand” internazionali. È il caso di Yayoi Kusama, celebre per le sue “stanze infinite” e i pois ossessivi, o di Gerhard Richter, che con la sua eleganza astratta continua a conquistare i collezionisti più tradizionali.

Accanto a loro, Takashi Murakami, che ha saputo mescolare estetica giapponese, manga e cultura occidentale, portando le sue opere a cavallo tra l’arte alta e la cultura di massa. Questi artisti non sono emergenti, né meteore: sono colonne portanti del mercato, spesso presenti nelle fiere, nei musei e soprattutto nelle case d’asta.

Chi sceglie di acquistare opere di questi nomi, lo fa con una logica simile a chi investe in blue chip finanziarie: aspettative moderate, ma rischi contenuti.

Giovani, ma già in vetrina: Boafo, Aboudia, Fadojutimi

Il 2025 conferma anche l’interesse crescente verso artisti emergenti che, nel giro di pochi anni, sono passati da outsider a nomi fissi nei cataloghi delle aste internazionali.

Amoako Boafo, pittore ghanese, è tra i più quotati della nuova generazione. Le sue opere, focalizzate su identità e rappresentazione, hanno trovato spazio nei principali musei e collezioni private.

Simile il percorso di Aboudia, che con uno stile più ruvido e “urbano” ha saputo intercettare un mercato in cerca di autenticità e narrazione sociale.

Poi c’è Jadé Fadojutimi, nata nel 1993, che con le sue tele coloratissime e stratificate ha rapidamente conquistato l’attenzione di critici e investitori.

Tutti e tre hanno in comune un elemento chiave: la velocità. Di crescita, di visibilità, ma anche – e qui va fatta attenzione – di volatilità. Chi investe su questi nomi oggi potrebbe ottenere ottimi ritorni, ma deve sapere che i prezzi possono fluttuare sensibilmente nel tempo.

La via asiatica all’investimento in arte

Non si può più parlare di mercato globale senza includere l’Asia. E anche qui ci sono nomi che spiccano per solidità e scambi frequenti.

Zao Wou-Ki e Zhang Daqian rappresentano il cuore dell’arte cinese da investimento, mentre Liu Ye, anche grazie alla recente mostra alla Fondazione Prada di Milano, si sta imponendo come ponte tra sensibilità orientale e gusto occidentale.

Per un investitore europeo, puntare su questi nomi può significare diversificazione geografica e culturale, ma anche un approccio più selettivo e informato, vista la diversa struttura del mercato asiatico.

Cosa ci insegna tutto questo?

Per chi lavora nella consulenza patrimoniale – e per chi vuole affrontare l’investimento in arte con serietà – ci sono alcune lezioni preziose:

  • Non basta il nome: non tutte le opere di un grande artista sono facilmente vendibili. Serve capire la fascia di mercato, la qualità, la provenienza, il formato.
  • Liquidità e rendimento sono due facce della stessa medaglia: un artista molto liquido, come Warhol o Picasso, può garantire stabilità, ma raramente performance straordinarie. Al contrario, i nomi emergenti offrono potenziale, ma a fronte di rischi decisamente più alti.
  • Serve una strategia di uscita: l’arte non è un investimento “usa e getta”. Prima di comprare, bisognerebbe già sapere come (e a chi) rivenderla.
  • Integrare, non sostituire: l’arte non è un’alternativa ai mercati finanziari, ma un’integrazione. Deve occupare una parte coerente – e limitata – del portafoglio, con un orizzonte temporale adeguato.

L’arte non è per tutti, ma può diventare accessibile se affrontata con metodo, strumenti e visione. Il nostro compito come consulenti finanziari indipendenti non è quello di scegliere l’opera per il cliente, ma di aiutarlo a capire quando, quanto e perché l’arte può fare parte del suo percorso patrimoniale.

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